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L’intercettazione è il mezzo più economico e garantista. A dichiararlo è Nicola Gratteri (SkyTg24, 2 aprile). Senza voler entrare nel merito delle sue convinzioni, limitiamoci a prendere la frase come un oggetto, un sasso lanciato nel laghetto.

Cosa ne possiamo dire? All’apparenza è vero e ragionevole: se fossi innocente vorrei essere intercettato per provarlo senza ombra di dubbio, se fossi colpevole ovviamente sarei un paladino della privacy. Questa confezione rende infido il nostro sassetto.

In questa prospettiva, infatti, vediamo che l’onesto vuole sentirsi garantito dall’intercettazione e il disonesto protetto dalla privacy. Ma l’onesto che amasse la privacy per cosa dovrebbe propendere? Per l’onestà (che implica venire intercettati, proprio in quanto non si ha nulla da nascondere) o per la privacy (che aiuta il disonesto e passa così per essere l’indice della cattiva coscienza)?

“Cos’hai da temere dall’intercettazione se sei innocente?” dice il sasso, “Nulla, ma non voglio essere spiato” risponde l’onesto riservato, ma a questo punto cosa pensa il sasso? Cosa penserebbe Porfirij Petrovič? Che ovviamente ha qualcosa da nascondere o che è perlomeno sospetto, forse un fiancheggiatore.

Questo ragionamento poliziesco spiegherebbe molti processi finiti nel nulla a causa di tesi accusatorie tendenziose più che accurate.

Infatti, dire che l’intercettazione è garantista significa sottilmente insinuare che essa garantisce all’onesto una necessaria prova d’innocenza, per di più fornita e certificata dall’autorità giudiziaria che ti spia o, che dir si voglia, sorveglia. Il che è vero: vivendo in carcere si ha la matematica certezza di non essere mai accusati di nulla, meglio ancora se si sta in isolamento e videosorvegliati.

L’innocente è più garantito se ha sempre pronto un alibi, magari fornito direttamente dal pm. Il nostro doppio diffidente non può che concordare. Ma a quale prezzo? Quello della propria privacy, dell’inviolabilità del proprio spazio. E che sarà mai, dato che in cambio ottieni di essere lasciato in pace dal segugio di turno.

L’intercettazione è economica, certo. È anche meno problematica di un’indagine portata avanti col bisturi anziché coll’accetta: è, in modo un po’ grossier, autoevidente ed elimina un sacco di problemi. È come un parto cesareo: la sua diffusione è costante perché toglie molti problemi al ginecologo, peccato che la morbilità postuma sia più alta del parto spontaneo.

Ma è nella natura di certi strumenti un po’ radicali ma indubbiamente facilitanti rimuovere altri strumenti più laboriosi e meno invasivi. Per metterla giù piatta, è facile prenderci la mano. Naturalmente nessuno diffida della coscienziosità dell’autorità giudiziaria, ma si sa che ogni categoria ha i suoi pelandroni e le sue teste calde e, se in molte professioni li si può tollerare, in una categoria come quella molto beneficata dei magistrati diventa inammissibile.

Ritornando dunque al nostro sasso nel laghetto, ci sembra che sia rivelatore di una mentalità (non quella di Nicola Gratteri, sicuramente più sfumata e dedalica) o di una propensione quantomeno pericolosa, che accolla l’onere della prova d’innocenza all’onesto riservato, in quanto rifiuta la manna assolutrice dell’intercettazione – rifiuto che lo rende anche sospetto. In altri tempi si sarebbe detto che o sei col regime o sei disfattista. Dal punto di vista del ragionamento poliziesco dire che l’intercettazione è garantista significa porre l’aut-aut di essere con o contro il pizzardone.

Cosa pensarne allora di tutto questo? Più o meno quel che possiamo pensare del cosiddetto “agente provocatore”.

Se davvero dovessimo introdurlo, tutto in Italia si fermerebbe perché il sistema è marcio a un livello tale che l’incertezza di poter accettare o meno una bustarella provocherebbe il collasso. Un po’ come quando è stato detto a Pannella di non smettere di fumare perché la palla di catrame contiene la massa tumorale. Certe cure vanno intraprese con cautela altrimenti sono controproducenti.

Analogamente l’intercettazione va usata prudentemente, perché ritenerla garantista non fa altro che consentire una certa strumentalizzazione delle indagini, nonché una loro pericolosa semplificazione. Nel caso dell’agente provocatore andrebbe aumentata la posologia gradualmente col tempo per non provocare lo shock e la morte, nel caso delle intercettazioni il tempo è quello delle cure estreme da assumere una tantum.

E come facilitare il lavoro della giustizia? Qui c’è un piccolo problema: nessuno ha detto che deve essere facile, come molti altri lavori delicati, visto che va a intaccare la libertà e la privacy. “Facile” è ordinare una pizza. Giudicare deve essere misurato e accurato, non è “facile”. Non sarà un caso se la Giustizia ha in mano la bilancia e non la falce.

Evidentemente, però, in Italia (anche a giudicare dai suicidi in carcere: dal primo gennaio al primo aprile di quest’anno, su ventinove decessi, dodici sono stati suicidi), dev’esserci una certa confusione iconologica.

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