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Non pago del primo turno, indetto il giorno dopo la Befana, “il Fatto Quotidiano” ha avviato un paio di settimane dopo il secondo turno del sondaggio per capire quale Presidente della Repubblica voglia a questo giro il popolo italiano.

Comunicativamente parlando è un’iniziativa di sicuro successo, che sa unire abilmente intrattenimento, Bar Sport e qualcosa di simile al giornalismo. Praticamente, invece, benché d’alto senso civico e spirito di patria, è oziosa visto che l’Italia non è un villaggio di pescatori vichinghi e il voto per alzata di mano non è proponibile.

La volontà popolare può esprimersi solo e soltanto filtrata dagli organi preposti o in occasione di specifiche ricorrenze (elezioni, referendum). Ogni altra cosa è una trovata pubblicitaria – e il Fatto sicuramente ne beneficerà, dato il pubblico che si ritrova – o una normale arma nelle mani di questo o quel monocrate che mira a valutare il proprio valore di mercato (e ciò trasforma un voto in un pacchetto azionario e, va da sé, un elettore in un azionista).

Infatti, questo tipo di suffragio, è richiesto tendenzialmente da individui che pongono la capitale questione del io-o-loro. Grillo è tipo da sondaggione, come anche Berlusconi. Renzi carsicamente. In realtà può rientrare anche tranquillamente nella mentalità di qualcuno come Travaglio, che viene dal Borghese. Il punto è sempre quello di mettere l’opinione pubblica davanti a una scelta manichea in cui non ci sono sfumature né ragionamenti, ma solo una scelta secca, una decisione irrevocabile per scuotere le aule sorde e grigie con un bivacco di spunte. Mettere la spunta su un candidato serve essenzialmente a far fuori gli altri: essere valutati da un sondaggio significa essere primariamente svalutati e messi nella lista dei potenziali scarti.

È quindi auspicabile che il sondaggione rimanga sempre ben distante dalla politica, perché quando vi si avvicina emana sempre un inquietante odore di roulette russa.

Invece, a quanto pare, per le succitate ragioni pubblicitarie o di azionariato monocratico, si continua a usarlo come strumento di ricatto nei confronti delle minoranze politiche, che vengono così inchiodate ai loro numeri da prefisso telefonico. A questa logica si sottraggono quasi solo i Radicali, che se ne infischiano bellamente e perseverano in attività e iniziative incuranti della loro minorità, ma non tutti hanno una simile disumana resistenza. È molto più semplice lasciarsi inghiottire da una maggioranza e attendere giorni migliori per la meiosi.

Nel frattempo cosa rimane? Rimane una parte dell’elettorato che, più sprovveduta o ingenua, crede che questa forte pressione pubblica debba per forza venire ascoltata, che siccome sui telegiornali è stato detto che questo o quel sondaggio colloca Milva al Quirinale allora è così sul serio e se non accade è colpa dei traffici di palazzo. Molte persone sono ormai diseducate al concetto di potere rappresentativo, incapaci di comprendere l’utilità di un medio fra i loro istinti e istanze e il potere statale. Che poi ci sia un effettivo problema con la percentuale di melma nello Stato è indiscutibile, ma da qui a credere che il voto diretto sia dirimente c’è un’intera evoluzione antropologica: presto o tardi torneremo a parlare di living room democracy, ma almeno per ora ce la possiamo risparmiare.

Fino ad allora, però, chi fosse armato di buona pazienza e sacro fuoco potrebbe ricominciare a discutere di cosa significhi gestire uno Stato, della complessità della sua macchina, del lavoro che occorre. Naturalmente questo costa più fatica, e forse il Fatto non ce la fa, ma sarebbe un inizio per scongiurare altri e più nefasti sondaggioni. Perché non è scontato il risultato d’un sondaggio e il più grande sondaggio esistente è quello del mercato, ed è estremamente preciso.

Alla lunga, il pubblico, ormai a disagio con l’intermediazione, si fa giardiniere e pota tutti i rami secchi. Quindi, visto che la stampa è un’intermediazione, via la stampa; e questa la stiamo già vedendo con la moria di giornali di questi ultimi tempi. Il caso più eclatante è abbastanza recente ed è quello dell’Unità: si urlò molto alla disgrazia di perdere questa pilastrale voce dell’informazione, ma quando si chiese un supporto ai lettori questi latitarono. Se non interessava nemmeno ai suoi lettori, dunque, perché doveva vivere?

Ma il sondaggione s’allarga e, poiché pure i sindacati sono un’intermediazione, ecco che a ottobre del 2014 si registra una notevole flessione dei tesserati. Forse qualcuno ne avrà scrupolo, almeno un po’ più di quanto se n’è avuto con l’Unità, ma così vanno i sondaggi. A questo punto dovremmo tutti chiederci: anche io sono un intermediario? Si auspica che l’esame sia approfondito, perché non è consentito l’errore. E se per disgrazia ci si dovesse rispondere di sì, allora sarà bene pensare un piano di fuga. Perché questo non è un paese per intermediari, il popolo brandisce la clava del sondaggio e il Fatto attende di sapere che dobbiamo fa’ co’ ‘sto Quirinale.

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