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Torniamo a proporre un piccolo gioco, ossia paragonare una situazione italiana e una europea per trarne qualche spunto di riflessione.

Al momento, il tema che travaglia la coscienza nazionale è l’adozione per coppie omogenitoriali. Un tema sicuramente spinoso, ma non per le ragioni solitamente descritte. Perché innanzitutto è da capire se il legislatore può arrogarsi il diritto di precondizionare in un modo così invasivo la vita del nascituro. In secondo luogo, la domanda che ci dobbiamo porre è: saremo disposti a fare marcia indietro se, fra mezzo secolo e numeri alla mano, scopriremo che l’omogenitorialità è in qualche modo un condizionamento?

Niente di male a essere gay (e neanche a esserlo e ad avere dei figli), quindi come si può chiamare condizionamento uno stato di cose che ti porta a fare qualcosa di inoffensivo? Il problema, però, va pensato fra 50 o 70 anni: laddove vedessimo che è un condizionamento, toglieremmo questo diritto acquisito? Naturalmente si spera che si mantenga il solito caos sereno delle scelte individuali, tuttavia il problema non è peregrino, è solo troppo in là nel futuro, fino a rasentare la fantascienza: pensare ai problemi derivanti da un diritto neanche esistente può sembrare un esercizio squisitamente filosofico, ma si lega all’indispensabile portato di casualità connesso alla nascita. La nascita è protetta dalla sua casualità, affinché, al momento di nascere si parta tutti dalla stessa condizione (non condizione sociale), cosicché sia colpa solo del destino cinico e baro.

Ma nel momento in cui i tipi di famiglia diventano due, chi si assume la scelta di far nascere il bambino in uno o nell’altro? Esisteranno due tipi di figli, inevitabilmente, anche se socialmente la cosa verrà introiettata. Ma è possibile decidere al posto del nascituro in una scelta così radicale? Chi è lo Stato o il cittadino per permetterselo?

Si potrebbe dire che fa parte del caso nascere in una famiglia omosessuale, quindi perché poc’anzi il caso era auspicabile e ora no? Qui veniamo a un fattore eminentemente individuale, e non si pensi a un po’ di psicologia d’accatto, cioè: posso negare al nascituro il corpo della madre? Nell’esperienza di ognuno di noi è il corpo della madre che ha certi connotati, come tale è nel bene e nel male insostituibile, anche rispetto a quello del padre. Del resto, posso negare al nascituro il rapporto col padre?

Allora sembra che la famiglia omosessuale sia un’involuzione rispetto a quella eterosessuale, perché se garantiamo pluralismo di idee, espressioni, merci ecc. poiché fa molto “ciao, io mi autodetermino”, e possiamo comporre la nostra identità come un patchwork, per quale motivo una famiglia dove non c’è scelta fra padre e madre è meglio, più avanzato o più progredito di un modello di famiglia dove questa scelta c’è? Sarebbe utile una risposta in merito.

Dunque, non solo ci si permette di rendere possibile un simile bivio (che sarà imboccato da altri per conto del nascituro), ma poi gli si dice anche che – nel caso di famiglia omogenitoriale – non potrà nuovamente avere scelta fra padre e madre. Ognuno ha la famiglia che gli capita, ma è comune a tutti. Nel primo caso non possiamo assumerci la scelta al suo posto, nel secondo caso non possiamo negargliela. Nulla da ridire sull’adozione di bambini usciti dalla fase preverbale, ma possiamo condizionare la nascita di un altro? Ne ridiscuteremo nel 2070.

Nello stesso momento, la graziosa Danimarca depreda i profughi dei beni superiori a 1.340 euri. Scelta scandalosa e controcorrente, contraria a ogni forma di accoglienza, ma coerente col concetto di ospitalità (si confronti l’aporia del numero 10/2015). Questa restaurazione rappresenta un curioso paradosso, in quanto per una volta, la storia prima si palesa come farsa (tutti ricordiamo la scenetta con Troisi e Benigni e il doganiere anancastico che ripete “Un fiorino”) e poi, in Danimarca, come tragedia. Per comprendere la portata di questa seconda novità, non possiamo aspettare il 2070, ma dobbiamo cominciare oggi a chiederci se il profugo abbia diritti come quello all’inviolabilità della proprietà privata, che in occidente tuteliamo come la tigre bianca.

Dal confronto di questi due temi, lo spunto che possiamo trarre è il seguente: il dirittificio Europa secondo quale criterio produce o nega diritti? Che volto stiamo dando al concetto stesso di “diritto”?

È evidente che, se la legge si cura di regolamentare l’esistente, è forse la forma stessa di legge e di diritto (in questo caso inteso come corpus giuridico) a essere desueta, superata dall’esistente medesimo. Probabilmente, le ricadute di questa desuetudine, ce le porteremo sulle spalle ben oltre il 2070.

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