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L’astensione figlia delle “belle iniziative”

Una “bella iniziativa” é per sempre, come sa chi bazzica i social. Le iniziative, inutile dirlo, sono sempre all’inizio e sempre “belle”: bar-librerie vegane, cantine asociali, teatri instabili, questo o quel plutocrate che minaccia di fondare un partito “per il bene del Paese” salvo poi pateticamente fare dietro-front e così via. Parafrasando Moretti, é sempre il momento per una “bella iniziativa”!

Sulle pagine di Facebook o Twitter o affini si incontrano con estrema facilità post e link in cui si annuncia ogni genere di attività, dalle più sensate alle più improbabili, destinate quasi immancabilmente a scivolare nei recessi dell’Averno menefreghista. Infatti, nessuna di queste belle iniziative sembra mai avere un fine, uno scopo — sono lì per iniziare e basta, “belle” appunto come soprammobili e destinate a morire appena iniziate perché il loro mestiere non é vivere ma iniziare. Si spera sempre che da una bella iniziativa si propaghi un circolo virtuoso, ma ciò é assai raro perché dopo un po’ finisce l’entusiasmo e comincia la meno esaltante gestione. Gestire un’attività é pratica sconosciuta al diffuso atteggiamento attivista e allarmista della Rete, oggi dilagante in quanto specie succedanea del non-pensiero.

É significativo che le belle iniziative riguardino nella maggior parte dei casi la politica e la cultura e il motivo é presto detto: sono ambiti della vita pubblica in cui é più difficile a sradicarsi il luogo comune per cui quel che basta per fare bene é la buona volontà/l’onestà. Niente di più falso: a questi due elementi di base occorre una prospettiva d’insieme e d’indirizzo, altrimenti sarebbe come dire che per vedere basta avere gli occhi. Per vedere, invece, serve un cervello che ricostruisce quanto l’occhio capta. Insomma, per condurre al successo un’iniziativa culturale/politica serve solo relativamente essere volenterosi e onesti: elemento essenziale é la comprensione e la progettualità, che sono figlie della cultura.

Si dice sempre che le iniziative culturali falliscono perché in Italia non c’é rispetto per la cultura, ma si tratta di un diversivo che distrae dalla vera causa dei fallimenti, cioè l’idiozia di chi se ne occupa come se fossero “belle iniziative”. Il punto é passare dalle “belle iniziative” alle “buone iniziative”. Per fare un esempio pratico, si pensi alla Fondazione del Vittoriale, che (importante sì, ma sicuramente meno noto del Colosseo o di Pompei) é un esempio di attività culturale proficua, i cui visitatori sono in aumento costante da cinque anni, nel solo 2014 essi sono aumentati di circa novemila unità. Da una precedente fase di decadimento, l’attuale amministrazione lo ha rimesso a regime restituendogli un’aura sacral-guerriera che l’ha collocato fra i più floridi musei italiani, uno dei pochi a essere in attivo. Questi successi derivano da una serie coerente di piccole iniziative che sono state intraprese nel tempo secondo un progetto preciso, con un obiettivo non vago e non utopisticamente ambizioso. Questa possiamo chiamarla, nel complesso, “buona iniziativa” perché ha un progetto.

Nella sfera politica possiamo vedere altrettanto: a forza di belle iniziative, di cui l’esempio perfetto é l'”annuncite” renziana, le elezioni regionali hanno visto trionfare l’astensione.

Possiamo anche dire che l’astensione é fisiologica nell’era post-ideologica, ma sarebbe miope connotare positivamente il crescente disinteresse degli italiani alla politica: Matteo Renzi, sin dall’esordio nella vita politica, ha basato gran parte della sua comunicazione pubblica sul concetto paraberlusconiano del “fare”, ma il suo proporsi come leader del compimento dell’incompleto, che ne ha sancito la primazia, non é andato molto oltre le “belle iniziative” generando così astensione.

Ma gli annunci di belle iniziative hanno forti ragioni pratiche: gli annunci renziani sono armi ideali in un regime di campagna elettorale permanente, colpiscono l’immaginazione e sono omogenei all’allarmismo da social network, e anche se poi si squaglieranno al primo raggio di sole hanno comunque fatto pubblicità al loro propagatore.

Ma trattasi di tattica di corto respiro, al primo temporale il terreno diventerà melmoso e districarsi sarà difficilissimo, specie per il ricercato clamore di simili annunci di “belle iniziative”.

Una “buona iniziativa”, invece, in silenzio, é capace di macinare successi anche in un paese e in un momento difficili: é una piccola riprova di come managerialità e cultura/politica possano coesistere, e debbano farlo a maggior ragione se ci si vuole affrancare dalle “belle iniziative” di cui siamo intossicati a beneficio delle “buone iniziative”, non necessariamente meno belle e sicuramente più utili.

Sarebbe necessario a questo punto fare un esempio di “buona iniziativa” politica dopo averne vista una culturale. Ma sono talmente tanti gli esempi offerti dall’attualità che ognuno potrà individuarne di propria iniziativa.

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