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In un’epoca in cui si propalano a ogni pié sospinto cartigli deontologici è naturale conseguenza delle cose porre periodicamente la questione dell’etica di Internet.

L’ultimo episodio in ordine di tempo ha riguardato le lamentazioni della Presidente della Camera Laura Boldrini, che ha raccontato le violenze verbali a cui – direttamente e, soprattutto, indirettamente – è stata fatta oggetto su vari siti.

Naturalmente, visto che i media hanno avuto bisogno di dare più sapore alle dichiarazioni di Boldrini, queste sono state mischiate al tema del femminicidio e dello stalking. Tutto bene annodato insieme in modo che, del tema originario, si perdesse ogni specificità e interesse. In questo modo è sembrato che tutto il busillis ruotasse sulla lesa femminilità della Presidente, degradata a oggetto di bassi istinti da parte di una torma di maschilisti patologici che vivono nei meandri più torbidi della rete.

Purtroppo il tema è rimasto abortito nelle pieghe del rumore di fondo giornalistico, altrimenti ci si sarebbe posti la reale questione da porre: le regole di Internet.

Difatti, è proprio del mezzo poter essere veicolo di odio, di insulti e oltraggi: affiancando la velocità della scrittura a quella del parlato e ponendo un diaframma fra sé e l’interlocutore, la rete diventa docilmente il mezzo per sfogare la propria rabbia e il proprio rancore verso qualcuno.

Se poi si conta il potenziale della progressione geometrica alla base della rete, cioè una volta avviata la diffusione di un contenuto essa aumenta esponenzialmente, si capisce come mai lo statisticamente ragionevole odio di un gruppo per Boldrini sia divenuto in breve un linciaggio on-line.

È questo che spaventa di Internet, la sua capacità di catalizzare intorno a un tema tante persone, ma sempre a mo’ di eco. È una percentuale risibile quella degli internauti che producono qualcosa in rete, sono una maggioranza schiacciante, invece, quelli che quel qualcosa lo fanno rimbalzare di link in link di sito in sito di pagina facebook in pagina facebook. Manovrare questa eco è come avere Internet in mano, ed è a questo che servono le società come la Casaleggio, ossia a utilizzare le scale di rete. Beninteso, non c’è niente di male a farlo, perché è come i pullman di vecchietti che vengono portati ai comizi di Berlusconi, altrimenti vacanti, o il concertone del primo maggio che serve a intrattenere un rapporto anche con un altro tipo di elettorato.

Dunque, una minoranza di persone ha espresso il suo odio verso Boldrini (che questa volta ha assunto le veci della CocaCola, del Gruppo Bilderberg e delle scie chimiche) e Internet ha dato risonanza a questo odio. Ne è risultata, però, una campagna stampa molto più vasta, che ha formalizzato nel suo peculiare discorso pubblico un grumo di animosità momentanea e lo ha reso categoria dello spirito: l’aggressività sessista.

Lungi dal voler minimizzare un montante pungolo d’odio, dobbiamo anche porci il problema, come in ogni rappresentazione, di quali siano i ruoli attanziali di questa narrazione. Innanzitutto dobbiamo avere ben presente la differenza fra una manifestazione di odio e una minaccia (e una manifestazione d’odio espressa come minaccia), in secondo luogo è su questa distinzione che bisogna risalire ai ruoli e alla trama di questa narrazione.

Innanzitutto va notato che, nell’alveo di questi discorsi, gli strumenti di minaccia sembrano tutti ugualmente gravi: dal commento sessista su un sito alle lettere coi proiettili (poi sovente retrocesse ad “avvertimenti”). Ci sarà una differenza? Ma anche al netto di questo livellamento, in che modo «la delicatissima questione del controllo del web» entra nella faccenda? Se l’esternazione del proprio odio è una di quelle cose che non si possono legificare più di tanto e dunque sempre soggette ad arbitrio, evidentemente controllare maggiormente il web non servirebbe: non si può perseguire un cittadino perché ne odia un altro e lo dice. E anche senza internet continuerebbero ad arrivare lettere anonime come è sempre successo. Quindi, ammesso che la richiesta sia razionale, non è per le minacce o per l’odio che Boldrini pensa di controllare Internet, ma per l’aggregazione.

Le minacce non finiscono con Internet, l’odio non finisce con Internet, ma l’aggregazione di individui sì. E non parliamo di pochi carbonari, ma di migliaia di soggetti con un certo numero di diritti civili. Ma a questo punto arriva l’aporia: controllare Internet consente certamente di avere un polso più forte nel disinnescare certe situazioni potenzialmente pericolose, ma al contempo rischia di diserbare aree verdi un po’ malmesse in cui cresce però una fauna delicata che potrebbe venir sterminata, cioè quella dei cittadini che non trovano altro spazio pubblico se non qualche forum in rete, e che per le ovvie caratteristiche della discussione accesa, si ritrovano anche a insultare o a deprecare questo o quel politico, ma nulla esclude che quell’insulto sia un comprensibile sfogo o che dopo quell’insulto ci sarà un’ulteriore discussione più utile.

È più pericoloso che chi vuole continui a sfogarsi con insulti on-line o togliergli il suo foro di discussione?

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