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  • Aldo Marroni
  • La decivilizzazione estetica della società. Sul sentire neo-cinico
  • Milano, Bruno Mondadori, pp. 132, € 9,00.
  • ISBN 9788861599871

Il libro di Aldo Marroni presenta le principali tematiche riguardanti la crisi della modernità messe in una prospettiva estetica.

I sei capitoli in cui è diviso si occupano gradatamente di sviscerare quelle che sono le fondamentali obiezioni che possono venire mosse agli ultimi centoventi-centocinquanta anni di vita sociale e culturale dell’Occidente.

Per la molteplicità di spunti è conveniente adeguarsi alla partizione adottata dall’Autore.

Il primo capitolo contiene una fondamentale premessa: “Se l’honnête homme aveva rappresentato l’idea di uomo nel Seicento, il civilisé è il tipo umano figlio della mentalità illuministica” (p. 7). Il secondo è un tipo cosmopolita ed embrionalmente individualista che, ben lungi dal coltivare l’intenso rapporto sussistente fra estetica e società, preferisce coltivare solipsisticamente il proprio piacere estetico. In particolare, l’Autore esemplifica tramite Schiller che “nella ‘Lettera quarta’ opera una distinzione netta tra il ‘barbaro’ e il ‘selvaggio’: nel primo i principî distruggono i sentimenti, nel secondo, al contrario, sono i sentimenti a dominare sui principî” (p. 14). Se l’uomo sceglie di essere solo l’uno o solo l’altro, inevitabilmente, mette a repentaglio la sua educazione estetica; ma questa ideale profilassi, indica l’Autore, sembra totalmente desueta nella nostra era.

Dal secondo capitolo l’analisi si serra sul ripiegamento in sé dell’uomo moderno, il neo-cinico, che ormai la psicanalisi ha indirizzato sul proprio Io, condannandolo a recidere il legame con l’estetica comunitaria, vero collante della società e trasformandolo in un narcisista. L’Autore indica qui quella che, secondo lui, potrebbe essere la genesi dell’attuale neo-cinico, che ha un predecessore proprio nel narcisista.

Il terzo capitolo – per mezzo di Heinrich, di Sloterdijk, di Rorty e di Dewey – ricostruisce il nocciolo filosofico del neo-cinismo, il cui “bersaglio polemico è il desiderio inestirpabile della Filosofia di individuare un concetto valido come giustificazione e legittimazione di tutti i possibili concetti”, sintetizzandolo come “superamento di questa volontà metafisica” (p.64). L’Autore rimarca che se prevale il senso genealogico del pensiero, se la psicanalisi ha indirizzato il soggetto verso il proprio io, è inevitabile ricercare in sé ciò che è meritevole di essere saputo; l’esterno non può offrire nulla di più interessante, il Bene e il Vero sono secondari, tutto è percezione, tutto è limitato al punto di vista del soggetto.

Nel terzo capitolo affiora la domanda centrale del lavoro di Marroni: cosa sente il neo-cinico? Tale domanda viene presentata nella sua complessità, poiché si tratta di definire cosa “sente” un soggetto vuoto e autoreferenziale.

Il quarto capitolo compone un quadro della “melanconia estetica del neo-cinico”. “Il neo-cinico sconvolge la tradizionale idea di melanconia: è un melanconico inespressivo per quanto riguarda le sue aspirazioni che vengono continuamente rinviate e frustrate ed è un melanconico del fare per quanto riguarda la sua volontà narcisistica di essere un protagonista sociale e di trarre il massimo vantaggio dalla sua collocazione nella società. […] è un monomane posseduto da una sola idea, quella di piacere a tutti i costi, perseguito con ostinazione in ogni ambito della società, ricerca intesa quale traguardo per l’affermazione del suo narcisismo nichilista” (p. 92).

Il quinto e il sesto capitolo, infine, sono il culmine dell’argomentazione, in cui si sostanzia il deficit del Lustprinzip, cioè la difficoltà del neo-cinico a perseguire il piacere, con la conseguente ricaduta nella insoddisfazione e nell’anedonia. Perché il grande problema del neo-cinico è la perenne ricostituzione nella jouissance (cioè nel godimento senza piacere, vissuto automaticamente senza spinta vitale) di dispositivi che lo tengono al riparo da un investimento oggettuale che metterebbe in crisi la sua indifferenza, il suo vuoto interiore: il problema sostanziale è quello di un soggetto che ha approfondito solo il suo rapporto con se stesso, senza investire la propria energia nel rapporto col mondo, un soggetto privo di contenuti ridotto solo a forma, forma che deve ricostituire sempre uguale per non scoprire di essere vuoto.

La sua è “incapacità a desiderare mantenendosi al di qua di una linea ideale che distingua con accuratezza la temperanza dall’eccesso. La manifesta incapacità ad avere piena percezione del piacere genera nella psiche del neo-cinico due effetti negativi: la svalutazione dell’oggetto desiderato oppure la dipendenza da esso, nella forma di una tossicomania edonica senza fine. Il soggetto diventa ostaggio del desiderio, perché non riuscirà mai a colmare la distanza dall’oggetto a cui lo destina la volontà di eccedere” (p. 117).

La diagnosi dell’uomo estetico contemporaneo, per l’Autore, non è positiva. È un’aperta condanna della “ansiosa richiesta di possedere tutti gli oggetti di piacere possibili offerti dall’economia liberale” (p. 120), dell’affannosa ricerca di un Bene nei beni, di un Bello che – mutilato del Bene – non ha più nulla di indispensabile.

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