K\afkian\nowledge – About n°44 and Mistress Q /2021

K\afkian\nowledge – About n°44 and Mistress Q è stato detto all’Università Bicocca nel 2021, insieme a altri testi componenti I dossier di N°44, progetto del collettivo Dusty Eye, in occasione della sua pubblicazione sotto forma di libro per l’editore veronese Poliniani nel 2021.

La proposta del collettivo, da cui sono stato invitato con altri per collaborare al progetto di N°44, sblocca per mezzo della chiave artistica una serie di possibilità tanto per la performance quanto per la teoria: oltre che potenzialmente gravido di dubbi quanto la disputa sull’anima dei bruti, è letterariamente affascinante chiedersi con che spirito un androide affronti il suicidio.

Nel testo edito c’è sicuramente traccia di un pensiero che si rifà a teorie circostanti e al tempo stesso evade il testo, nel bisogno di un certo respiro di lettura ad alta voce e di intonazione, per essere più che compreso goduto, non secondo una teoria della performance ma secondo una teoria-performance.

Performance theory è esattamente il “prodursi” in una teoria, è il gesto che estende la teoria alla performance della sua enunciazione, in modo da teorizzare performando e performare teorizzando, come attività sincronica.

‘Performance theory’ doesn’t just imply a theory of something, a theory that might tell us what performance is and how performance works. It can also use the concepts of performance as ways of making sense of other materials. Performance theory can be a way of framing objects of study, viewing them as performances, thereby facilitating a new sort of thinking about them. Thus it can explain how interactions work by, for example, drawing on analogies with theatre, or ritual, or ceremony, or play. But alongside this, performance theory does one further thing. It can invoke an idea of performance that embodies particular values and rhetorically deploy this idea to justify projects and positions, even facilitating adjustment to the same presiding structures against which earlier performance practices came into being. It successfully provided the language for the institutionalisation of itself.

Simon Shepherd, “Performance theory”, Cambridge University Press, 2016

Con questo non sostengo che si possa prescindere da una serie di saperi e reperti, per questo è da intendersi come già incluso nella performance theory un repertorio, ecco perché il gusto della lettura intesa come declamazione dà un apporto alla scansione della teoria. Il teorizzare è figura retorica, legata alla creatività, che necessita del concetto di composizione per esprimersi. Il gusto e il godimento sono implicati da questo comporsi o “incorporarsi” della teoria.

Oggi che il libro è un oggetto da addetti ai lavori, le scienze umane più che esprimersi in opere ritrovano altre possibilità espressive nella performance.

Arrivare a una performance teorizzante e a una teoresi performativa è il passaggio che permette di superare entrambe verso una forma sintetica che le estende l’una nell’altra. Il pregio, sennò rimarrebbe davvero un ibrido fra le due, è la durata dello strumento, non soggetto a mode o opportunismi. Si dà performance theory per i presenti e solo per loro, nell’immediato, a prescindere dalle possibili ricadute, che sono semmai inintenzionali. Quindi non è esclusa la risata, per esempio, ma è inclusa insieme a tanto altro.

Come uno scrittore la cui creazione non consista dei libri pubblicati, né di un’opera, e nemmeno del suo scrivere, bensì del suo negarsi come scrittore per diventare qualcosa che lo eccede, come Roman Gary o Gabriele D’Annunzio o Bruce Chatwin, per proiettare la sua parabola o teoria direttamente nella realtà. Ecco annullarsi la distanza che comporta la presenza di un medium come il libro, nel dire che precipita immediatamente l’oratore nell’ascoltatore e viceversa.

La teoresi a quel punto può trovare una vocazione unitiva anziché sempre disgiuntiva.

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